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MARGHERITA, IL PIANO INCLINATO E LE CATTEDRALI

Ieri sera, bellissima sera, piccolo borgo incantato sulle pendici del monte Barro, nelle sale accoglienti del Museo Etnografico dell'Alta Brianza: uno spettacolo, in parte teatro-canzone, in parte lettura recitante, in parte lezione di fisica, e sempre un appello appassionato e tragico all'uomo. Il tutto sapientemente inserito nella straordinaria cornice Robindart. Bellissimi i testi, bravissimi attori, autori e musicisti. Il cui merito è, naturalmente, quello di avere attivato pensieri e generato buone domande - di quelle cioè che non hanno risposta.

Protagonista principale dell'aspetto scientifico, una curva. La celebre gaussiana, la campana, il cappello da carabiniere, ha spalancato le sue ali e preso il volo sugli spettatori, descrivendo il distendersi nel tempo del processo produttivo di una risorsa non rinnovabile (e anche di una risorsa rinnovabile, ma sfruttata intensivamente): cioè illustrando graficamente - e molto efficacemente - quella teoria che ho appreso chiamarsi 'del Picco di Hubbert'. Come nelle migliori illustrazioni delle apocalissi ecologiche, gli spettatori provavano il brividino di constatare con i propri occhi il depauperamento delle risorse, e scivolavano col fiato mozzato e il cuore in gola sul lato destro del pendio-gaussiana, ora per il petrolio, ora per l'uranio, e poi il cibo, e l'acqua, e l'aria. L'anima di chi assisteva veniva a poco a poco trasformata in un pesce che agonizza dimenandosi sulla sabbia ardente e arida. A nessuno è venuto in mente che si possono fare degli eleganti 'cristiania' sul versante ripido del picco di Hubbert (in realtà solo un'amica svizzera osservava col sorriso di chi è già totalmente informato e consapevole), no, tutti, o quasi tutti, rotolavamo giù. Le parti scientifiche erano intervallate (o forse erano intervalli) da (di) una delicata e dolcissima storia dolorosa di quasiamore tra un professore di scienze e una violinista in un condominio magico dove le cose sono eloquenti, e tutto avviene sotto gli auspici di un saggio geco di ceramica. Indimenticabile il dialogo (fra l'altro recitato in modo fantastico) tra il professore e un pollo semicongelato che aveva preparato come sua ultima cena: ma le risorse sono finite e il microwave non funziona. Il pollo, dalla vocetta acuta e ansiosa, descrive il suo martirio moderno, ah gran bontà dei contadini antiqui che ti potevi divertire a farti inseguire, poi ti placcavano e zic, ti recidevano la giugulare oppure tac, ti tiravano il collo e passavi in un attimo, fiero e felice, nel paradiso avicolo. Eh no, ora no, ti appendono a testa in giù su un nastro trasportatore e via!, una prima macchina cerca di mozzarti la capoccia ma non sempre ce la fa e muori fra strazi mentre un'altra macchina fruga con le sue orride lame nel tuo sfintere per svuotarti le interiora. Ora il pollo si fa serio e accusatore: è quella umana la razza che deve scomparire, l'uomo è il tarlo, l'escrescenza maligna, il cancro del pianeta. Il professore prosegue il suo tentativo di suicidio e rallenta il suo cuore, ma la dolce violinista gli fa capire che il suo cuore non è solo una pompa ma il metronomo di carne, sangue e vita che sostiene la sua musica, e allora...E allora. Ma nello scenario tragico della fine dell'umanità.

In una delle ultimi parti scientifiche, la storia dell'Isola di Pasqua. Un microcosmo perduto nell'oceano Pacifico, un paradiso di biodiversità. Ahiahi - dice il giovane e simpaticissimo fisico (di nero vestito, e che conclude le sue terrificanti previsioni supportate da dati e grafici con un amaro 'buona fortuna', e verrebbe voglia di dire tra sé e sé 'crepi l'astrologo', il problema è che non è per nulla un astrologo), ahiahi, arrivano gli uomini sull'isola, coloni polinesiani approdati nonsisacome - forse su una specie di Kon Tiki. Guardacaso cominciano a disboscare selvaggiamente per costruire i Moai, le celebri statue, niente alberi niente canoe, niente animali, niente pesca al largo, i poveri coloni succhiano le arselle microscopiche sui loro scogli, si cibano di ratti e poi, gnam, passano all'ossobuco di cadavere umano. Stremati, avvistano un veliero francese all'orizzonte, su una piroga raffazzonata alla bell'e meglio si avvicinano alla nave e chiedono disperati dei Miru, degli alberi. Hanno capito. Noi abitanti del pianeta Terra, grande isola di Pasqua dispersa nell'oceano del sistema solare, capiremo? Chi lo sa. Buona fortuna.

Sento questa prospettiva come una delle possibili prospettive sull'uomo. Io avrei desiderato che come 'sfondo' agli interessantissimi grafici proiettati ci fosse stato un dipinto di Caravaggio, il Partenone, Tiepolo o la cattedrale di Chartres. Mi chiedo se ci sia un prezzo ecologico da pagare per essere uomini. Se l'accadere della coscienza umana non implichi costitutivamente una disarmonia con l'infraumano, tale da contemplarne perfino la distruzione. Gli alberi di Rapa Nui vengono distrutti per costruire le grandi statue. Sembra assurdo, pazzesco, e di qui un passo e si arriva al tantum potuit religio suadere malorum. Ma le grandi statue erano soglie del mondo dell'Oltre. Più dell'aria, dell'acqua e del cibo, l'uomo ha bisogno vitale dell'Oltre. E si giunge all'Oltre di squilibrio in squilibrio. Non è senza prezzo che si costruisce una cattedrale, e le piramidi egizie grondano sangue di schiavi. Ma non c'è uomo senza questa sete. Perché l'uomo non è di casa qui dentro, intendo dire: nel cosmo. E' di passaggio, sta andando via, è già via. Homo viator. Sente e pre-sente che questa terra è una breve stazione di sosta. E' vero, non la tratta affatto bene, e soprattutto non tiene conto di chi ne usufruirà dopo di lui. In questo senso la prospettiva offerta dagli straordinari musicisti cantori attori autori di Margherita va considerata attentamente.

Ma preferisco vivere pochissimo come Van Gogh, divorato dall'assenzio, senza cibo né casa, e con l'orecchio mozzato dalla follia, piuttosto che come un tizio vegetariano, salutista, che mangia biologico che fa pilates e che custodisce in un involucro perfetto il proprio vuoto. Su scala planetaria questo cosa può significare?

Grazie, amici di ieri sera.

Leonardo Lenzi

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