La “pedagogia immaginale” -in cui il termine immaginale individua quella regione delle immagini che non sono primariamente frutto della mente umana, ma visioni, figure, simboli e archetipi provenienti da un altrove trascendente la cognizione razionale, secondo la lezione di Henry Corbin, invita ad un’autentica sovversione della postura che il soggetto intrattiene nei confronti del mondo.
Ciò a cui si mira attraverso un tale rivolgimento è una ricomposizione tra soggetto e oggetto, in cui il primo possa arrivare al riconoscimento di una partecipazione e di un’appartenenza fondamentale al secondo. Un riconoscimento andato perduto in virtù della posizione eroica e dominatrice che la coscienza diurna, analitica, separativa dell’uomo ha im-posto alle cose, dimenticando di esserne parte, distaccandosi da esse.
In tal modo si può riapprossimare quella interconnessione e reticolare corrispondenza analogica di tutte le cose che i saperi ermetici hanno sempre considerato la condizione primaria della vita nel cosmo. Occorre ritrovare uno sguardo che abbia compiuto la sua opera immaginativa di riconnessione con l’Anima Mundi, la linfa vitale che attraversa e collega ciascuna cosa all’altra. Un tale sguardo è custodito da quegli artisti la cui visione ha fatto emergere dalla superficie delle cose il loro sfondo e la loro fodera invisibile, cioè il tessuto dei rapporti soggiacenti che le radicano e le orientano, compiendo in tal modo un atto di ritrovamento, una scoperta.
La ripetizione, l’imitazione guidata dell’atteggiamento che ha prodotto tali visioni, e dunque l’esercizio di contemplazione, meditazione e riflessione intorno alle loro opere, diventa il principio e il fulcro della formazione immaginale. Una formazione attraverso la quale venga restituita la piena percezione di quei rapporti d’interdipendenza smarriti da uno sguardo disancorato, smarrito, esiliato.
Affidarsi a tali opere segna la via di un’educazione controcorrente, orientata da un principio di sottrazione, di reversione, di diminuzione, di arretramento dell’ego dominatore in funzione della salvaguardia della Terra, fisica e immaginale, e dunque di quel sostrato elementare in assenza del quale nessuna operatività è possibile.
L’operatività che si esercita in questo apprendistato è rispettosa, capace di ri-guardo verso l’altro-di-cui-sono-parte, ogni intenzione predatrice viene deposta, viene accantonato il modo pre-giudiziale di osservare il mondo per lasciare spazio ad una “visione secondo natura” attraverso la quale si possa tornare a percepire l’intrinseca finalità riposta in ogni cosa, e dunque a intercettarne in anticipo l’aspirazione a manifestarsi, a sentirsi impegnati poi a rendere possibile la cura del suo fruttificare, come nel lavoro della vigna, prototipo di ogni alleanza fra uomo e natura.
Solo a questo patto , e con tutte le conseguenze che sul piano di una rinnovata pragmatica educativa se ne può trarre, si può immaginare un’autentica sovversione del rapporto con il mondo. Esso ci richiede oggi uno sguardo attento e risanatore, e la cura che ne scaturisce si rende contemporaneamente strumento di autoguarigione. E’ tempo per deporre ogni immaginario dislocato sull’asse delle analisi e delle categorizzazioni, per riscoprire le forme di intreccio immaginale profondo che lasciano dimorare le cose nel loro luogo, pregne del potenziale simbolico e moltiplicativo di cui si tratta pazientemente e ostinatamente di recuperare e rivelare le figure.
Informazioni dettagliate sulle iniziative dell’Associazione I.R.I.S. nel sito
www.immaginale.it
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